Raynor’s Hall
Racconto Sci-Fi
Questo racconto partecipa alla sfida Raynor’s Hall.
Il tema mi ha creato qualche difficoltà, per cui ne ho sorteggiato uno da questo sito:
we’re co workers who hate each other but you had too much to drink at the staff christmas party and admitted your love for me i don’t know how to act around you now
Tema: Pomeriggi
Nel 2125 venne inviata la prima stazione spaziale orbitante su Venere. Non so perché questa informazione mi viene in mente adesso: dopo circa 400 giorni di permanenza, penso alle cose più inutili. Per esempio, vivo in un pomeriggio eterno. Una giornata qui dura molto, troppo, e, per risparmiare, l’azienda ha deciso che avremmo usato la luce naturale, per cui la nostra stazione si sposta assieme al “pomeriggio” del pianeta. Se seguissimo il sole più forte, i costi per mantenere una temperatura decente si innalzerebbero troppo. È un vero peccato che, in certi giorni, neanche il regolatore di temperatura riesca a schermare completamente le temperature infernali.
Ma il lavoro in stazione non è malaccio, se non fosse per James J. Jackson, chiamato da tutti qui Three J. Deve sempre criticare quel che faccio, sempre. Metto la bottiglia nel frigo? Non va bene perché ha il tappo rivolto verso l’esterno invece che verso l’interno. Mi alzo dalla sedia? Ho fatto troppo rumore.
Sono scemenze, lo so, ma fidatevi che, in continuazione, rompono parecchio.
Anche adesso è lì, beve e mi fissa, aspettando che faccia qualcosa di sbagliato. È irritante. Odio queste feste, tra l’altro non ho capito per che cosa stiamo festeggiando. È Natale? Il compleanno di qualcuno? Una qualche festività che non conosco? In questa stazione si perde facilmente il conto dei giorni, l’esterno non cambia mai. Decido di allontanarmi e di andare all’osservatorio, la zona più alta della stazione. Improvvisamente mi sento cadere, come in ascensore. Controllo uno dei tanti schermi per capire se c’è qualche problema, ma niente di serio. Stiamo attraversando una zona dove l’atmosfera è meno densa, quindi siamo cascati di qualche metro. Ignorando il problema, mi reco nell’osservatorio, una sorta di cupola rivestita di vetro anti-radiazione, resistente agli sbalzi di temperatura, praticamente infrangibile… mi hanno spiegato che è un materiale derivante dal carbonio, attraversa fasi che lo rendono simile al diamante, o qualcosa del genere. Sono un dannato operaio io, l’unica cosa che devo fare è guidare la navetta per recuperare i materiali dal terreno di Venere e spedirli sulla Terra.
Entrare nell’osservatorio sembra come entrare nell’occhio di un ciclone: turbini di aria gialla girano attorno al vetro (che non è vetro). So per certo che ad alcuni viene il mal di mare a stare lì, ma è l’unico posto dove, quando l’aria è particolarmente densa e la stazione si innalza, si possono vedere le stelle. Quando siamo in posizione, vedo anche la Terra. Un altro anno e avrò la possibilità di tornare a casa, ma perché? Chi mi aspetta lì? Non sono mai stato espansivo, la ragione per cui ho scelto questo lavoro è per stare il più lontano possibile dai miei simili, e ha funzionato: la stazione ha un diametro di circa 1km e ci lavoriamo in 20. Se non fosse per Three J che sembra cercarmi apposta per darmi fastidio, conoscerei a mala pena i miei colleghi.
Un vetro si infrange a terra. Mi giro. È lui, Three J. Ma neanche qui mi lascia in pace? Ha fatto cadere una bottiglia vuota. L’osservatorio ha diverse poltrone reclinabili, fatte apposta per osservare il cielo (sempre uguale) e l’atmosfera di Venere. Non mi dice nulla, probabilmente non mi ha visto. Ne sceglie una e si sdraia.
«Com’è che funziona, sulla Terra?» Non sta parlando a me, ma da solo. Finché non mi vede me ne sto qui, in silenzio. È ubriaco marcio, fra poco dovrebbe addormentarsi. «Si spreme il desiderio alla stella più luminosa.» Neanche una frase banale come “esprime il desiderio”. O forse intende proprio “spremere il desiderio” come una vacca. Che visione orribile. «Che sulla Terra, poi, la stella più luminosa è Venere. Quindi mi rivolgo alla Terra? Sì, Venere chiama Terra.» Silenzio per qualche secondo, poi sento russare. Sto per alzarmi quando continua: «Che Carrington possa innamorarsi di me e vivere con me per sempre.» Quando sento il mio nome non voglio crederci. Quel cretino si comporta così perché è innamorato di me? E questo sarebbe il suo modo di provarci? Dicono che spesso che la colpa è mia, che pretendo troppo, ma no… preferisco la solitudine. Credo sia arrivato il momento di chiedere il trasferimento. Non è il caso di rimanere qui ancora a lungo. Il giorno dopo invio la richiesta di trasferimento. La mail è lì, sullo schermo. Continuo a ripensare all’altra sera, potrei aver sbagliato? Forse, prima di andarmene, potrei provare a conoscerlo meglio? Che devo fare?
Voi che fareste al posto di Carrington?
Scopri Havel, il mio romanzo fantasy a questo link.
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ma varda ti sto bifolco, uno ha una cotta e lo manda in bianco? molti ucciderebbero per avere una vita sessuale anche in condizioni estreme eh
cmq un bel racconto, me lo figuro come un… diario? anche se in effetti se fosse un diario non avrebbe bisogno di dare spiegazioni; allora una lettera aperta?
Beh, ma a Carrington non piace 😅 non è obbligato a dire di sì.
È una specie di rottura della quarta parete, in cui il narratore si rivolge direttamente al lettore
Mi piace molto questa storia ^^
A parte che mi piace molto l’ambientazione su Venere (amo Venere e la sua atmosfera infernale). Però finalmente due personaggi che non devono amarsi perché sì.
Grazie <3