Raynor’s Hall
Fantastico
Il racconto ha partecipato all’iniziativa del Raynor’s Hall. Rispetto a quella versione (che potete trovare qui), è stato revisionato.
Tema: Regina
L’unico suono a farle compagnia era il gocciolio dell’acqua che filtrava da fuori. Dalla finestrella in alto, la pioggia aveva allagato la cella, rendendola più umida e più fredda del solito. Stringersi nella coperta lurida era inutile, aumentava solo il freddo, ma era l’unico abbraccio che potesse ricevere. Il sole aveva fatto capolino dalle nuvole e presto il suo calore avrebbe riscaldato la sua “camera”. Si trovava in quella situazione per sua scelta, aveva preso il posto di suo padre. Si era chiesta più di una volta che fine avesse fatto, forse era morto nel tentativo di salvarla da quella prigionia, ma almeno lo aveva fatto da uomo libero.
La porta cigolò: come ogni giorno era andato a farle visita, vestito di tutto punto. Non poteva negare fosse bello, mentre lei ormai era solo una bambola rotta e dimenticata in un angolo. Lui attendeva sulla porta, in piedi, con la schiena dritta e profumato di rose. «Davvero non ci vuoi neanche provare?» Aveva una voce estremamente affascinante. Gli occhi azzurri e i capelli biondi lo dipingevano come un angelo: il diavolo avrebbe potuto avere solo quel volto.
«Non mi sottoporrò a un gioco così assurdo, mai!» I mesi di solitudine avevano reso la sua voce grottesca, gracchiante.
Lui rise. «Eppure, è la tua unica possibilità.»
«Lo è solo perché ti annoi e non mi umilierò per il tuo divertimento. Spiegami: in che modo pensi che possa farti innamorare di me? Sei un mostro, mi hai sottoposta a un gioco crudele che non posso vincere!» Si alzò in piedi. Se ne avesse avuto la forza, lo avrebbe colpito. «Non sono una di quelle donne a cui sei abituato, non sono nobile e non sono in grado di fingere, non posso amare colui che mi ha ridotta così!» Si prese i vestiti li strinse tra le mani. Sporchi, luridi, stracciati. L’abito che tanto le piaceva ormai non esisteva più.
«Eppure non dovrebbe darti problemi…» Guardò in alto, come per cercare la parola giusta. «Etici? Morali? Qualunque sia la ragione, non sei tu che deve innamorarsi, ma io. Non lo farai per salvarti la vita?»
«Non ci riesco! Non posso sedurti in queste condizioni, non saprei come fare da libera, figuriamoci con il mio carceriere!»
Dal suo portamento era impossibile capire cosa stesse pensando o provando, sempre se fosse in grado di provare qualcosa. Rimase lì, a fissarla senza rispondere.
Lei si sedette sotto l’unica fonte di luce. Osservò il sole splendere nel cielo azzurro. Quella discussione si ripeteva da mesi, tutti i giorni, sempre uguale. Aveva visto passare le stagioni: il caldo, il freddo, la neve, i temporali… quando si sarebbe stancato? Quando l’avrebbe dimenticata e fatta morire di inedia? Sentì la porta richiudersi e la bestia allontanarsi dalla sua prigione.
***
In camera osservava il suo riflesso. Si sentiva distrutto, moralmente e fisicamente. Una parte di lui gli urlava di liberarla; l’altra non voleva… ma non per il motivo che pensava lei. Non era per divertimento. Non voleva lasciarla, ma lei aveva vinto, senza neanche provarci. Sorta la luna, l’avrebbe fatta spostare in un’altra stanza. Le avrebbe lasciato un cambio e qualche giorno per riprendersi. Non l’avrebbe più rivista e l’avrebbe lasciata andare, sarebbe tornata a casa sua. Aveva raggiunto il suo scopo, alla fine. Non gli interessava essere amato, voleva amare lui stesso. Tuttavia era attanagliato da un dubbio: l’avrebbe amata ancora se avesse perso l’odio nel suo sguardo? Il suo gioco avrebbe potuto continuare, ma non se la sentiva. Vederla in quello stato, infreddolita e disperata, iniziava a fargli male. L’avrebbe cacciata. Quella donna senza nome sarebbe stata per sempre la sua regina, fissata in un momento di eternità.
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