Raynor’s Hall

Il viaggio

Fantastico

Il racconto ha partecipato all’iniziativa del Raynor’s Hall. Rispetto a quella versione (che potete trovare qui), è stato revisionato.

Tema: Ponti

Il viaggio

La rappresentazione fantastica di un ponte su uno sfondo di stelle colorate

Non sapevo dove mi trovassi, né il motivo per cui fossi lì. Attorno a me si ergevano mura troppo alte perché potessi guardare oltre. «Benvenuta.» Alla mia destra, un uomo era appoggiato al parapetto e mi osservava con il sorriso più dolce e felice che potesse esistere. Cercai di alzarmi in piedi, ma ricaddi subito a terra, sul pavimento morbido.

«Riprovaci, vedrai che ce la farai.»

Annuii. A fatica, un piede dopo l’altro, imparai come camminare su quello strano terreno.

«Scusate, sarei dovuta arrivare prima, ma ho avuto delle complicazioni…» Un dolce profumo mi avvolse: a sinistra c’era una donna stanca e con il viso tirato, ma raggiante.

Saltò aldilà del muro e, con l’uomo, mi prese per mano finché imparai ad avanzare da sola.

«Aspetta, se vai scalza poi ti farai male!» La donna gentile estrasse da un sacchetto di carta un paio di scarpe e mi aiutò a metterle. Sì, era decisamente più comodo, e poi mi piacevano.

I due scavalcarono nuovamente il muro, tornando sulla loro via.

Avanzai di qualche passo e solo allora mi accorsi da quante strade fosse formato quello strano posto. Alcune si muovevano e raggiungevano il mio; tanti i viaggiatori saltavano sul mio percorso per poi tornare sul proprio. L’uomo e la donna gentili erano sempre con me: mi presentavano gli ospiti e mi insegnavano come comportarmi. Alcune persone mi mettevano paura, non volevo vederle e così scoppiavano le liti.

«Non ci si comporta così!» Io mi mettevo a piangere. Perché quelle persone gentili mi dicevano di fare cose che non volevo?

«Devi imparare che su questi ponti ci sono regole e convenzioni sociali, devi rispettarle per non ferire gli altri e te stessa.»

Alcuni dei visitatori tornarono spesso, altri sparirono. I tre ponti continuarono paralleli, ma, a un certo punto, le strade si divisero.

«Devi abituarti. Prima o poi vorrai stare da sola e dovrai prendere il tuo percorso personale per uscire da qui. Non ci saremo sempre, ma tranquilla: fra qualche ora torneremo.»

Un bacio sulla guancia, un abbraccio sincero e l’orgoglio negli occhi dei due.

Annuì. Ero stata preparata, sapevo cosa mi attendeva, ma avevo un po’ di paura. Misi avanti il piede e lo appoggiai sul mio primo ostacolo. Salii il gradino mentre i due ponti si allontanavano: mi prese il panico.

Poco dopo, se ne avvicinò uno sconosciuto: una donna mi tese la mano per spingermi a proseguire, ma non saltò sul mio. Venni avvolta da diverse voci, molte persone mi circondarono, tanta gente litigava. Qualcuno si presentò, altri piansero… poi il giorno finì, i gli altri ponti si allontanarono e i due signori gentili tornarono.

«Com’è andata, cos’hai fatto?»

Raccontai tutto, della donna che mi aveva aiutato, dell’ansia… la cosa si ripeté a lungo e più volte: imparai i nomi, imparai a fidarmi. Ogni tanto il mio ponte si divideva in diverse vie e dovevo sceglierne una. Decisioni semplici che quasi non cambiavano la direzione intrapresa, sempre sostenuta dalle due persone gentili.

Un giorno, però, il ponte si scisse in tante, troppe strade che andavano in luoghi molto diversi.

«Chiudi gli occhi e ascolta il tuo cuore» mi disse l’uomo gentile.

«Scegli con saggezza. Pensa a come vuoi che prosegua il tuo percorso» mi disse la donna gentile.

Mi soffermai su ogni particolare, osservando e ponderando. Da una parte c’erano tanti sassi, ma andava verso il basso; un’altra era irta di spine e oscura; una era riccamente decorata, bellissima a vedersi.

Finalmente imboccai quella che mi ispirava di più, quella che sembrava la più facile. Percorsi qualche altro chilometro, verso una meta che era sempre lontana, quando, all’improvviso, sentii un rumore strano. Mi voltai e vidi una piccola palla di pelo che mi osservava con occhioni grandi. Lo presi in braccio. Il piccolino allungò una zampa ed estrasse gli artigli per paura di cascare. Continuammo insieme.

A volte la via era irta e pericolosa, altre talmente pacata da risultare noiosa. Ogni tanto inciampavo e mi facevo male, ferite che non pensavo si sarebbero più rimarginate, ma ogni volta mi rialzavo, con quella palletta di pelo che mi guardava e mi leccava la mano per farmi coraggio; a quel punto lo accarezzavo con la mano, lo prendevo in braccio e lo stringevo a me. Ci volevamo bene e ce lo dimostravamo sempre: ci scaldavamo quando faceva freddo o ci facevamo le coccole quando uno dei due stava male.

Dovetti fare altre scelte e, poiché sapevo che quelle strade avrebbero segnato la difficoltà del percorso, iniziai a pensarci molto prima, ma lui era il mio silenzioso compagno che mi avrebbe seguita ovunque, qualunque fosse stata la mia decisione. Aveva addirittura accettato quello strano ragazzo che mi veniva a trovare spesso.

Poi un giorno, una notte, la palla di pelo sparì e mi lasciò indietro. Saltò lontano, su un ponte diverso che non potei raggiungere e non tornò più indietro. Mi bloccai, volevo tornare indietro, ma il ponte dietro di me si era sbriciolato. Iniziai a correre e mi fermai solo quando il dolore si attenuò. I miei amici mi aiutarono, mi dissero che non era colpa mia… ma il senso di colpa mi sarebbe rimasto per sempre.

Un giorno, un altro ponte urtò il mio. Devastante come un terremoto, la due strade si fusero e ci fu un’altra persona con me. Poi, com’era arrivato, se ne andò e lasciò il terreno distrutto e più stretto, con le mura più alte. Solo in pochi potevano saltare da me e accompagnarmi. Sentii freddo, mi diedi di nuovo la colpa… avevo sbagliato qualcosa, ma cosa? Lo strano ragazzo si avvicinò ancora di più. Mentre eravamo mano nella mano, mi accorsi che i ponti con le due persone gentili si stavano allontanando. E un giorno sparirono. Le persone gentili se n’erano andate, come la palletta di pelo, per non fare più ritorno. Di nuovo mi colse il dolore, più forte che mai; sentivo le gambe cedere ma il mio compagno mi sorreggeva e mi aiutava ad andare avanti. Insieme creammo un nuovo ponte: sassolini e pietre levigate, pronte ad accogliere un ospite speciale. L’ospite arrivò e fummo felici. Togliemmo ogni ostacolo che le si parava davanti; l’aiutammo ad andare avanti, non sempre d’accordo con le nostre decisioni.

Quando arrivò il tempo in cui la nostra ospite camminava da sola, il mio compagno mi lasciò, prendendo il ponte che l’avrebbe portato alla sua meta definitiva. Provai dolore, ma sapevo che non era un addio.

La mia ospite trovò il suo compagno, andò avanti da sola e creò il suo ponte e quello per la persona che sarebbe venuta dopo di lei.

In quel momento capii che dovevamo salutarci. Ci saremmo riviste, ma era tempo di raggiungere la sua meta.

Il ponte divenne trasparente e si aprì su un bellissimo prato. Guardai la strada fatta, soddisfatta. Rividi il mio compagno e lo abbracciai, salutai le persone gentili e piansi quando la palletta di pelo fece di nuovo quello strano verso. Ora dovevo attendere, senza fretta, l’arrivo della mia ospite.

Guardai avanti, decisa a conoscere chi mi aveva preceduta.


Sistemare questo articolo è stato complicato. A rileggerlo ad anni di distanza mi sono resa conto di quanto fosse messo male. Oggi, con quasi dieci anni in più sulle spalle, lo scriverei in modo molto diverso.

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