Raynor’s Hall

L’orologio e la candela

Fantastico

Il racconto ha partecipato all’iniziativa del Raynor’s Hall. Rispetto a quella versione (che potete trovare qui), è stato revisionato.

Tema: Cerchio

L’orologio
e la candela

Le lancette giravano e il ticchettio dell’orologio riempiva la stanza illuminata solo da una tenue candela, ormai quasi del tutto spenta.

Lo aveva promesso, sarebbe tornato, e lui manteneva sempre la parola data.

Tornerò. Lei gli aveva creduto, per l’ennesima volta lei lo aveva lasciato andare. I suoi affari, i suoi dannati affari, lo portavano sempre lontano per difendere un mondo che neanche sapeva della sua esistenza. Battaglie su battaglie, vittorie su vittorie nel corso dei secoli, perché bastava una sola sconfitta per annientarlo.

«Se te ne andrai sarà per sempre!» disse lei disperata.

«Non tornerai più da me!» Non una minaccia, quanto una paura.

«Non è vero, tornerò. Da te, sempre.»

Lei aspettava e faceva in modo che non venisse dimenticato, che la sua presenza fosse costante nel cuore dei suoi sottoposti. Doveva essere il suo campione, il suo portavoce.

Mostri. Quante volte erano stati chiamati in questo modo? Eppure nemmeno aveva bisogno di uccidere per nutrirsi, le bastava un volontario. Essere un vampiro non erano così male, dopotutto. In più il suo compagno si era rifiutato di rivelarle il segreto della trasformazione, per cui non era nemmeno in grado di farlo. Una mancanza, certo, ma a lei poco importava.

«Non voglio.» Lei non doveva appartenere a qualcun altro e nessuno doveva essere dipendente da lei.

Chiuse gli occhi e sospirò. Quando li riaprì, guardò le lancette:

avevano compiuto un giro completo da quando si era seduta. Lo faceva ogni anno, da secoli. Il suo piccolo rituale.

Alle sei di sera di quello stesso giorno, secoli prima, le aveva detto: «Tornerò». Allora lei aspettava, guardando il cerchio perfetto dell’orologio, da quando il sole tramontava a quando sorgeva.

Si alzò dalla sedia e spense con un soffio la candela quasi del tutto consunta. La fiamma si spense, come la speranza che aveva relegato a un giorno solo all’anno.

Si recò verso la porta pensando già al lavoro da finire. Quando l’aprì, lui era dall’altra parte.

«Mi dispiace, non pensavo di metterci tanto.» Gli anni d’attesa sparirono mentre lui l’abbracciava.

«Scusa per averti detto quelle cose, anni fa.» La voce di lei era rotta dal pianto. «Non volevo.»

«Non è vero.» Lui sorrise. «Avevi ragione. Ci ho messo… troppo. Avevi ragione.»


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