Scrittura
Consigli per la scrittura creativa

Quante volte hai sentito dire che per scrivere bene devi eliminare gli aggettivi? È un concetto che viene spesso espresso, ma è davvero così?
Sicuramente, moltissimi autori alle prime armi ne abusano e vanno cassati quando sono messi per pigrizia mentale dell’autore. Un esempio può essere la frase: “il bambino è capriccioso”. Tutti possiamo immaginarci un bambino capriccioso, ma sarebbe meglio descrivere cosa faccia effettivamente questo bambino per fare i capricci. Per esempio, mentre la madre sta cercando di cucinare, lui sbraita perché vuole un biscotto e non vuole sentire ragioni.
Per me, invece, scrivere bene significa conoscere molto bene lo strumento che devi usare: la parola.
Oggi voglio mostrarvi come, semplicemente usando bene le figure retoriche, è possibile rendere un’emozione anche attraverso un susseguirsi di aggettivi e lo farò analizzando l’incipit di un film che mi piace molto: “L’anno Scorso a Marienbad” (1961, diretto da Alain Resnais).
Non è del film in sé che vorrei parlarvi, che meriterebbe una tesi a se stante, ma dei primi tre minuti del film, sceneggiato dallo scrittore Alain Robbe-Grillet.
Il film
L’anno Scorso a Marienbad è un film molto onirico, di conseguenza anche l’inizio lo è. Non parlerò della trama o della struttura del film, ma della vera e propria narrazione, sì arricchita da splendide inquadrature, ma a noi interessa il testo in sé.
Questa è la clip, ora andrò ad analizzare il solo testo che introduce la narrazione. Provate ad ascoltarlo senza guardare le immagini e a immaginare quel che che avete davanti. Il testo è narrato, quindi avremo anche la parte sonora, in cui la voce si abbassa, e anche questo contribuisce a trasmettere un messaggio particolare. Tuttavia, a me interessa solo la parte strettamente testuale.
Analisi
In questo albergo immenso, lussuoso, barocco, lugubre.
La prima frase è nominale. Ha il solo scopo di dirci dove siamo e che tipo di luogo sia. Abbiamo un’enumerazione di tre termini molto simili (immenso, lussuoso, barocco) che danno l’idea di sfarzo che viene chiusa da un quarto elemento, lugubre, che crea una sorta di antitesi con quanto detto prima. Questa prima frase, anche senza il verbo, dà movimento. Questo tipo di frasi si chiamano nominali, ma la figura usata è simile all’ellissi.
Con solo quattro aggettivi noi abbiamo chiaro in mente un castello simile a quelli francesi (barocco), ma allo stesso tempo lugubre ci dà una sensazione di abbandono, di buio. L’unico modo che abbiamo per immaginarci un posto del genere è una serie di stanze (immenso), riccamente decorate e curate all’apparenza, ma che, a un secondo sguardo, emanano una sensazione sgradevole. Da notare come l’autore, con quattro semplici aggettivi, sia stato in grado di creare nella mia mente un quadro estremamente definito.
Dove corridoi senza fine succedono ad altri corridoi, silenziosi, deserti, gelidamente decorati da intarsi in legno…
Dopo lo sguardo d’insieme, ci inoltriamo nei corridoi. Ci specifica cosa intende con immenso usando un’altra enumerazione, questa volta unita a un semi-chiasmo (corridoi è sia in seconda posizione nella frase sia al termine). Se ci pensate, sembra quasi interpretare attraverso le parole la conformazione di questo hotel: una serie di porte, se ne apri una, vediamo un’altra serie di porte e così via. Adesso andiamo nello specifico di lugubre: sono silenziosi. Un hotel silenzioso significa due cose: o è notte o è vuoto e gli spazi vuoti provocano una sensazione di disagio (kenopsia). Segue un avverbio: è lungo, è pesante, è presente anche un’inversione (dovrebbe essere decorati gelidamente) che, assieme alla sinestesia, aumenta la sensazione che qualcosa non vada. Come fa una decorazione a essere gelida? Una decorazione lignea, tra l’altro.
↬ Leggi anche: Il ricevente
In sale silenziose in cui i passi di colui che le attraversa sono assorbiti da tappeti così pesanti, così spessi, che nessun rumore di passi arriva alle sue orecchie.
Qui abbiamo un passaggio di sensi: dalla vista al suono. Abbiamo osservato dall’esterno, ora entriamo e per entrare dobbiamo camminare. Sentiamo i passi. In realtà no. I passi sono silenziosi, attutiti dai pesanti tappeti. Ecco spiegato il silenzio. Il luogo forse non è isolato, forse c’è qualcuno ma è costruito ed arredato in modo da non farci sentire nulla. Si conclude nuovamente con un’enumerazione, che aumenta (climax), nel nostro immaginario, il numero di porte. In questa frase troviamo una ripetizione di silenzio (anche questa, quando è voluta, è una figura retorica).
Non ho presente la versione originale francese, tuttavia vorrei far notare l’introduzione di figure di suono: l’allitterazione della s, un suono dolce, che in parte richiama il silenzio (shhh), che si trasforma in p, un suono duro (il tap tap dei passi, forse?).
Come se persino le orecchie di chi cammina, ancora una volta, lungo questi corridoi, attraverso questi saloni, queste gallerie, in questo palazzo d’altri tempi,
Spezzo la frase per poterla analizzare meglio. Ecco, di nuovo, l’enumerazione e la ripetizione. Se prima ripeteva silenzio, ora riprende orecchie, quasi come fosse un chiasmo. La frase precedente termina con l’oggetto orecchie, in quella successiva diventa soggetto. La frase rimane in sospeso. L’uomo continua a camminare, lungo questi corridoi senza fine.
in questo albergo immenso, lussuoso, lugubre. Dove corridoi senza fine succedono ad altri corridoi silenziosi, deserti, gelidamente decorati da intarsi in legno…
Senza neanche accorgercene, il cerchio si chiude. Abbiamo l’ennesima ripetizione, stavolta non di una parola ma di tutto il pezzo.
Conclusione
Il testo racconta molto più di quel mostra effettivamente. Non si tratta di una scrittura esatta, ma giocando con enumerazioni, chiasmi, ripetizioni e un particolare tipo di ellissi e frasi nominali, l’autore è stato in grado non solo di narrarci la complessità del luogo in cui è ambientato il film, ma ci ha anche dato la chiave di lettura.
Si tratta di un racconto ciclico, in cui non sarà facile capire qual è la storia. Di per sé è semplice, in fondo è solo un hotel infinito, ma quante trappole può nascondere un hotel? E come può un hotel essere infinito? Siamo forse dentro un sogno?
Esercizio
Scegliete un emozione o un tema da esprimere, per esempio “sicurezza nel futuro”.
Trovate un luogo che vi sembra possa essere la rappresentazione di tale concetto e descrivetelo.
Ora, provate a riconoscere quelle figure che avrete sicuramente usato inconsapevolmente, aiutatevi pure con la ricerca di Google.
Scopri Havel, il mio romanzo fantasy a questo link.
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Grazie per questo articolo interessantissimo e scritto molto bene. Ho apprezzato anche la scelta di usare una clip cinematografica per far capire meglio. Le parole dell’incipit sono così ben ponderate che suonano come poesia.
PS: anni fa scrissi un racconto breve proprio a tema kenopsia.
Grazie! È una scena che mi colpì molto e anche a me parve quasi una poesia. L’ho scelta perché frutto della penna di uno scrittore, ricordo che cercai se fosse ispirato a un romanzo.
Sono curiosa del tuo racconto, dove lo trovo? (Puoi mettere il link, se vuoi)